L’origine di questa festa è legata a varie
motivazioni che nel tempo si sono stratificate intorno alla struttura del
convento dei cappuccini dedicato allo “Spirito Santo”, costruito fuori dal paese
intorno al 1500. L’aria buona, la quiete, i boschi secolari di querce, rendevano
il posto un’ oasi di pace e preghiera.
Ma quello era anche il luogo dove i rodiani si rifugiavano quando dal mare arrivavano pericoli e razzie, cercando riparo sulla zona più alta del promontorio, da dove si scorgeva tutto il centro abitato fino alle spiagge dorate. Un posto che accoglieva tutti e dove in varie occasioni di epidemie ci si isolava dal paese, erano tempi difficili e certamente diversi dai nostri, dove il colera poteva uccidere gran parte della popolazione.
Si narra che dopo l’epopea napoleonica (1836), a causa di uno di questi flagelli, ci si rifugiò al convento e li si soggiornò a lungo sotto gli alberi e dentro le mura, si allestì un vero “campo profughi” e dopo mesi si festeggiò il passato pericolo con una messa in suffragio delle circa duecento vittime e di ringraziamento verso lo Spirito Santo al quale il convento è dedicato.
Un pasto frugale e semplice, improvvisato dai frati e dai superstiti, a base di uova e asparagi, divenuto in seguito tradizione, dette modo di trasformare quell’occasione in una vera e propria festa campestre. Il vino, la musica e i giochi furono complemento della celebrazione dell’arrivo della primavera e della rinascita della vita.
Questa è la tradizione che qualche anziano ricorda, a noi di oggi piace pensare che alla serietà del momento si sostituisca la voglia di stare insieme in allegria con bancarelle, suonatori, caotici ospiti, profumi di alimenti buonissimi, luminarie e a sera i fuochi d’artificio. I rodiani, ancor oggi tengono a questa festa perché con essa ricordano la loro storia, la voglia di ricominciare con fierezza il proprio cammino
Ma quello era anche il luogo dove i rodiani si rifugiavano quando dal mare arrivavano pericoli e razzie, cercando riparo sulla zona più alta del promontorio, da dove si scorgeva tutto il centro abitato fino alle spiagge dorate. Un posto che accoglieva tutti e dove in varie occasioni di epidemie ci si isolava dal paese, erano tempi difficili e certamente diversi dai nostri, dove il colera poteva uccidere gran parte della popolazione.
Si narra che dopo l’epopea napoleonica (1836), a causa di uno di questi flagelli, ci si rifugiò al convento e li si soggiornò a lungo sotto gli alberi e dentro le mura, si allestì un vero “campo profughi” e dopo mesi si festeggiò il passato pericolo con una messa in suffragio delle circa duecento vittime e di ringraziamento verso lo Spirito Santo al quale il convento è dedicato.
Un pasto frugale e semplice, improvvisato dai frati e dai superstiti, a base di uova e asparagi, divenuto in seguito tradizione, dette modo di trasformare quell’occasione in una vera e propria festa campestre. Il vino, la musica e i giochi furono complemento della celebrazione dell’arrivo della primavera e della rinascita della vita.
Questa è la tradizione che qualche anziano ricorda, a noi di oggi piace pensare che alla serietà del momento si sostituisca la voglia di stare insieme in allegria con bancarelle, suonatori, caotici ospiti, profumi di alimenti buonissimi, luminarie e a sera i fuochi d’artificio. I rodiani, ancor oggi tengono a questa festa perché con essa ricordano la loro storia, la voglia di ricominciare con fierezza il proprio cammino
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